Cento (forse mille) volte ho visto mia nonna preparare la crostata di albicocche e credo sia stato proprio questo ripetersi dei gesti ad averli trasformati in un rito prezioso.
La crostata di albicocche di mia nonna era speciale per due motivi. Il primo è che la pasta frolla era leggermente aromatizzata al limone, e quel profumo che si diffondeva quando il forno era in funzione era il segno di una grande gioia in arrivo!
Il secondo è che la confettura di albicocche la faceva lei. I primi tempi, quando ero bambina, la faceva con i frutti del suo albero in campagna. Poi quella casa purtroppo venne venduta e con essa le piante che aveva piantato mio nonno molti anni prima.
Mia nonna sosteneva che nessuna altra albicocca comprata avesse lo stesso sapore, ma con il tempo si era rassegnata! Aveva trovato una bancarella di fiducia al mercato, più cara delle altre a sua detta, ma che la soddisfaceva nella qualità. Le albicocche le comprava solo lì, e quando vedevo quel grande sacchetto colmo di frutti sapevo che erano in arrivo la marmellata e la crostata!
Farina, burro, zucchero, uovo e quella scorza di limone grattugiato: così cominciava quello splendido rito fatto di abbracci sporchi di farina e piccoli “furti” golosi. Non riuscivo a resistere alla bontà della pastafrolla cruda, tanto che quando mia nonna la riponeva in frigorifero per farla riposare, mi vietava di entrare in cucina!
Poi era il momento del mattarello, “quello in cui bisogna stare in silenzio perché la pastafrolla si deve concentrare quando si stende”, quindi io mi mettevo da parte a guardare sempre con lo stesso incanto.
Ma una volta stesa io sapevo che era arrivato il mio momento: correvo in dispensa e finalmente potevo aprire il vasetto di marmellata, tuffare il cucchiaio e ricoprire la pastafrolla!
E certo, qualche cucchiaino di marmellata finiva nella bocca della sottoscritta!